Lo squalo bianco ha il terrore dell’orca assassina


Il più grande pesce predatore del mondo si ritira appena scorge un'orca: un nuovo studio mostra come le interazioni fra i grandi predatori dell'oceano possano essere più complesse di quanto sappiamo

(foto: Benjamin Lowy/Getty Images. Il grande squalo bianco – o semplicemente squalo bianco – presso l’isola di Guadalupe in Messico)

Lo squalo bianco, tra le altre cose protagonista del film Lo squalo di Steven Spielberg, è il maggiore pesce predatore che esista sulla Terra. Eppure anche lui potrebbe non essere invincibile: quando incontra sul suo cammino un’orca assassina, un altro fra i più potenti predatori (in questo caso il film di riferimento per i cinefili è L’Orca assassina di Michael Anderson) si tira indietro e lascia il campo – l’oceano – libero. Anche il colossale squalo, dunque, da predatore potrebbe diventare predato. E fra i due litiganti è il terzo a godere: a giovare di questo suo allontanamento è l’elefante marino, un mammifero della famiglia delle foche, la preda preferita dello squalo bianco. A descrivere queste dinamiche è uno studio coordinato dal Monterey Bay Aquarium di Monterey, in California, che ha analizzato per anni, attraverso indagini strutturate, le abitudini di questi grandi predatori. I risultati sono stati pubblicati su Scientific Reports.

Gli autori hanno analizzato gli spostamenti di 165 squali bianchi con un chip che li ha seguiti dal 2006 al 2013. Inoltre, hanno svolto rilievi per 27 anni sulle abitudini di squali bianchi, orche assassine e elefanti marini presso le isole Farallon, a largo delle coste di San Francisco. “La ricerca in questo paper combina due sorgenti di dati molto solide”, sottolinea Jim Tietz, biologo e coautore dello studio. “Siamo stati in grado di mostrare in maniera definitiva in che modo gli squali bianchi filano via quando appaiono le orche”.

Per studiare se e quando orche e squali sono stati presenti nello stesso tratto di oceano, gli autori hanno comparato i dati delle osservazioni durate 27 anni con quelli raccolti attraverso il tag elettronico apposto agli squali. In tutti i casi esaminati lo squalo bianco si è allontanato dall’isola appena sono arrivate le orche, prendendo il largo nel giro di pochi minuti, e non ritorna fino alla stagione successiva. Di norma la sua meta sono altre colonie di elefanti marini lungo la costa, oppure si dirige al largo. E questo avviene anche se le orche spesso sono solo di passaggio, e si trovano presso le coste delle isole Farallon per meno di un’ora. Gli animali studiati, è giusto sottolinearlo, sono “enormi squali bianchi”, ha commentato Scot Anderson, coautore dello studio, “alcuni sono lunghi 5,5 metri e di solito qui dettano legge”.

Probabilmente gli squali bianchi fuggono per paura o per avversione al rischio e alla competizione, elementi che potrebbero giocare un ruolo anche nella caccia di questi grandi predatori e influenzare l’ecosistema dell’oceano. Ma gli autori non hanno per ora tratto conclusioni sulle ragioni alla base dell’allontanamento: potrebbe essere dovuto al fatto che le orche considerano gli squali bianchi prede, oppure che vogliano semplicemente competere con loro per catturare gli elefanti marini.

Gli elefanti marini, invece, sembrano trarre dei benefici da tutto questo: gli eventi in cui questi animali vengono predati sono diminuiti bruscamente negli anni in cui gli squali erano lontani. Durante i 27 anni di osservazioni gli autori hanno rilevato in media 40 attacchi predatori per ciascuna stagione, con un picco nei mesi di ottobre e novembre, ai danni degli elefanti marini. Negli anni in cui sono state presenti le orche, con gli squali lontani, questi eventi sono calati fino a non essere stati più registrati.

La ricerca, spiegano gli autori, mette in luce l’importanza delle interazioni fra i maggiori predatori, che ancora non sono ben documentate. “Ritengo che questo dimostri che la catena alimentare non è sempre lineare”, conclude Salvador Jorgensen, primo autore del paper. “Le cosiddette interazioni laterali fra i maggiori predatori sulla terraferma sono piuttosto note mentre è più difficile documentare quelle che avvengono negli oceani. E dato che questa avviene così raramente, potrebbe richiedere un po’ più di tempo per comprenderne le dinamiche”.


Fonte: WIRED.it


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